IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza, Premesso che Buonocore Ettore e' stato tratto in arresto per il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990; che il pubblico ministero, ai sensi dell'art. 449 c.p.p., ha condotto l'arrestato dinanzi al giudice per la convalida e il giudizio di merito; che questo giudice ha convalidato l'arresto e, su richiesta del pubblico ministero, ha applicato nei confronti del Buonocore la misura cautelare della custodia in carcere; che la trattazione del processo e' stata rinviata ad altra udienza avendo l'imputato chiesto termine a difesa; che la difesa dell'imputato ha prospettato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma del codice di rito con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, primo e secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato; Rilevato che la questione prospettata e' rilevante nel caso di specie in quanto questo giudice ha proceduto alla convalida dell'arresto ed ha applicato al Buonocore la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato ipotizzato; Osserva e rileva Va, innanzitutto, osservato che la Corte costituzionale, con sentenza del 31 maggio 1996 n. 177, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato, sollevata dal Pretore di Savona il 5 ottobre 1995, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, sul presupposto che la valutazione sulla responsabilita' dell'imputato avrebbe potuto essere condizionata dalle decisioni gia' assunte con pregiudizio dell'imparzialita' e dell'obiettivita'. La Corte nella citata sentenza (con la quale era stata dichiarata non fondata anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo del codice di rito, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva) ha osservato che «l'istituto dell'incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento penale concorre ad esprimere la garanzia di un giudizio imparziale, che non sia ne' possa apparire condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilita' penale dell'imputato manifestate dallo stesso giudice, tali da poter pregiudicare la neutralita' del suo giudizio. Il principio del «giusto processo», difatti, implica e presuppone che il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove legittimamente raccolte ed acquisite e non sia pregiudicato da valutazioni sul merito dell'imputazione e sulla colpevolezza dell'imputato espresse in fasi del processo anteriori a quella del quale il giudice e' investito. Il processo e' per sua natura costituito da una sequenza di atti ciascuno dei quali puo' astrattamente implicare apprezzamenti su quanto risulti nel procedimento ed incidere sui suoi esiti. Non puo', quindi, essere frammentato, isolando ogni atto che contenga una decisione idonea a manifestare un apprezzamento di merito ma preordinata, accessoria o incidentale rispetto al giudizio del quale il giudice e' gia' investito, per attribuire ogni singola decisione ad un giudice diverso, sino a rompere la necessaria unita' del giudizio e la sua intrasferibilita'. L'incompatibilita' del giudice per atti compiuti nel procedimento e' determinata da provvedimenti adottati in base alla valutazione di indizi o prove inerenti alla responsabilita' penale dell'imputato in fasi precedenti a quelle delle quali il giudice e' investito. Essa non necessariamente deve essere estesa sino a collegarla a tutti i provvedimenti con contenuto valutativo emanati dal giudice competente e senza che vi fosse incompatibilita' nel momento in cui lo stesso e' stato investito del giudizio di merito; giudice che in ragione e nell'esercizio di questa competenza e' successivamente chiamato ad adottare misure e provvedimenti accessori o ad esprimere giudizi incidentali, quali sono quelli di carattere cautelare innestati nel dibattimento. In questi casi il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice e' gia' correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi e' la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa». In applicazione dell'enucleato principio, la Corte ha dichiarato la non fondatezza della questione in quanto «non puo' essere configurata una menomazione dell'imparzialita' del giudice, che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso», atteso che «la convalida dell'arresto implica una valutazione sulla riferibilita' del reato all'imputato, condotto in giudizio, ma e' attribuita alla cognizione del giudice competente per il merito, cui e' devoluta la convalida ed il contestuale giudizio, al quale accede ogni altro provvedimento cautelare» e «il giudice del dibattimento, al quale e' presentato l'imputato per il giudizio direttissimo, si pronuncia pregiudizialmente, con la convalida dell'arresto, sull'esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere immediatamente al giudizio ed e' competente ad adottare incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la cognizione di merito». La Corte di cassazione, con sentenza del 30 luglio 1998 n. 2199, si e' espressa nello stesso senso, riaffermando il principio della insussistenza di incompatibilita' a partecipare al giudizio direttissimo del giudice che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato perche' lo stesso giudice che ha proceduto alla convalida e' automaticamente designato a svolgere il giudizio direttissimo rispetto al quale sono preordinati quegli atti che lo stesso giudice deve compiere e che proprio perche' funzionali allo svolgimento di quel rito non costituiscono pronunce autonome che possono determinare pregiudizio. Va osservato che la Corte costituzionale ha seguito il medesimo principio statuito nella richiamata sentenza n. 177/1996, secondo cui all'interno di ogni singola fase le varie decisioni emesse da uno stesso giudice non costituiscono causa di incompatibilita', in quella n. 51/1997, laddove ha dichiarato inammissibile sia la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma del codice di rito sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che ha applicato una misura coercitiva, sia quella relativa al combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 del codice di rito sollevata con riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione nella parte in cui attribuiscono la competenza a pronunciarsi sui provvedimenti cautelari concernenti la liberta' personale dell'imputato al giudice del dibattimento, anziche' ad un diverso ed autonomo giudice, nonche' ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 299 c.p.p. sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui, secondo il diritto vivente, precluderebbe di valutare, dopo il decreto che dispone il giudizio, la persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai fini della revoca di una misura cautelare. In questi casi la Consulta ha affermato che l'attribuzione della competenza c.d. accessoria sui provvedimenti de libertate al giudice del dibattimento e' pienamente legittima, in primo luogo, perche' l'opzione in tal senso rientra nella discrezionalita' del legislatore; poi, perche' affermare l'incompatibilita' del giudice del dibattimento chiamato a pronunciarsi su misure cautelari equivarrebbe a fornire all'imputato uno strumento per spogliare dei suoi poteri il giudice titolare del giudizio. Successivamente alle predette pronunce, il legislatore ha introdotto due significative innovazioni. Con decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51 (con effetto dal 2 giugno 1999, in virtu' di quanto disposto dall'art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1 della legge 16 giugno 1998 n. 188 e, poi, dal giugno 2000 in virtu' dell'art. 3 del d.l. 24 maggio 1999 n. 145, convertito con modifiche nella legge 22 luglio 1999 n. 234) e' stato inserito all'art. 34 del codice di rito il comma 2-bis che prevede che «il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non puo' emettere il decreto penale di condanna, ne' tenere l'udienza preliminare; inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non puo' partecipare al giudizio». Con legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 e' stato novellato l'art. 111 della Costituzione attraverso l'inserimento della previsione che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a un giudice terzo ed imparziale». Orbene, con la prima innovazione normativa citata, il legislatore ha scandito all'interno della stessa fase delle indagini preliminari due sub fasi, quella delle indagini preliminari in senso stretto e, quella, dell'udienza preliminare ed ha introdotto una nuova ipotesi di incompatibilita', imponendo al giudice che ha nel medesimo procedimento esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari (g.i.p.) di non tenere l'udienza preliminare (di non fungere, quindi, da g.u.p.) di non partecipare al giudizio (abbreviato od ordinario) anche fuori dei casi previsti dal secondo comma dell'art. 34 del codice di rito. Tale ipotesi di incompatibilita' trova il suo aggancio proprio nell'art. 111 della Costituzione appena novellato. Il principio costituzionale del giusto processo, sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice, infatti, opera attraverso l'istituto della incompatibilita' in relazione allo svolgimento di attivita' valutative e decisionali nell'ambito dello stesso procedimento penale e la citata ipotesi di incompatibilita' vale a determinarne contenuto e portata. Sul rilievo attribuito dal legislatore nell'ambito della medesima fase processuale (fase delle indagini) alle due diverse sub fasi, si prospetta la necessita' di verificare se analoga ratio di incompatibilita' si configuri in relazione al rito speciale direttissimo, avuto riguardo alla scansione delle due diverse sub fasi che lo costituiscono, quella introduttiva del giudizio di convalida e dell'eventuale deliberazione in materia cautelare e, quella, dei giudizi di merito. Costituisce, certamente, violazione del principio di uguaglianza il disciplinare in maniera difforme situazioni analoghe. L'ipotesi del g.i.p. che, nella sub fase procedimentale, procede alla convalida dell'arresto e ad emettere decisione in materia de libertate e del g.u.p. che, nella sub fase processuale, celebra l'udienza preliminare, sostanzialmente non e' dissimile, anzi, e' analoga, a quella del giudice, che, nella prima sub fase, procede alla convalida dell'arresto e decide in materia cautelare e, poi, nell'altra sub fase, procede alla celebrazione del giudizio di merito. Questo giudice, pertanto, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di rito nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo (sub fase processuale) il giudice che, nella sub fase introduttiva, abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare. La specialita' del rito non giustifica ragionevolmente una diversa disciplina rispetto a quella prevista nell'ambito della fase delle indagini preliminari. Il principio costituzionale del giusto processo, sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice, non puo' trovare applicazione diversa in situazioni simili e, pertanto, sotto questo profilo, subisce indubbiamente pregiudizio dalla previsione che sia il medesimo giudice a procedere alla convalida dell'arresto ed eventualmente a decidere in materia cautelare e, poi, al giudizio di merito. Ne consegue che si sospetta della legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di rito nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma e 111 della Costituzione.